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Chi sono le “Povere creature”?

Chi sono le “Povere creature”?

 

di Anna Agata Mazzeo

Avete letto il libro di Alasdair Gray “Povere creature” da cui è stato tratto il film di Yorgos Lanthimos che ha vinto il Leone d’oro di Venezia per il miglior film 2023?

Il romanzo originale è del 1992, mentre il film ora al cinema differisce in diverse cose e nell’eterna querelle: È più bello il libro o il film? Una cosa è certa: andrebbe visto!

Gli amanti del regista greco, tra i più acclamati tra gli autori contemporanei, apprezzeranno quest’ultimo lavoro.

“Un piacere per gli occhi, un piacere per l’anima” è lo slogan con cui si è espressa la critica.

Ma chi sono queste “Povere creature”?

(Vi svelerò la mia chiave di lettura solo a conclusione dell’articolo, così da non rovinare il piacere di scoprirlo a chi non ha ancora visto il film).

Oserei dire che le povere creature siamo tutti noi. Chi più e chi meno, ma l’aggettivo non ha a che fare con la giacenza media e il saldo annuale del conto corrente, non credo sia attinente alle condizioni economiche precarie in cui versano molti nel mondo, e probabilmente neanche con le bestioline freak in casa Baxter.

Lanthimos, da sempre dirompente, emerge dall’onda anomala – la New Wave greca – che caratterizza la corrente del cinema greco sperimentale. Una raffinata crudeltà di espressione come firma di lungometraggi che riflettono la tendenza ad uscire dai confini estetici, tematici e di genere.

I suoi film appaiono crudeli e spietati, gli stessi personaggi sono costretti a passare l’inferno dei convenevoli sociali per celare l’indole trasgressiva, nella dura lotta tra ciò che è bene e ciò che è male dire-fare in società.

La trama del film ricalca il più noto capolavoro di Mary Shelley “Frankestein” – scritto nel 1818 – con risvolti femministi, richiami alla Jane Austen di Orgoglio e Pregiudizio a partire dagli abiti di scena molto voluminosi tipici dell’epoca vittoriana.

I tasti di un piano scordato suonano il disagio di una donna che ha il cervello di un bambino.

La donna è Bella Baxter (Emily Stone, meglio nota come Emma) un esperimento del Dottor Godvin Baxter (Willem Dafoe) medico scienziato londinese. Vive rinchiusa, con l’intento di volerla proteggere, nell’abitazione-laboratorio del padre, attorniata da animali domestici eccentricamente assemblati e una governante. Il film narra il percorso di crescita e formazione che compie Bella e come un bimbo alla scoperta del mondo, ogni cosa le sembra una festa, gli spettatori assistono dalla lallazione ai primi passi, la pubertà, la scoperta del sesso e fino alla consapevolezza del significato della vita.

Dobbiamo sperimentare ogni cosa. Non solo il bene, ma anche il degrado, la tristezza… così possiamo conoscere il mondo, allora il mondo è nostro” – recita uno degli attori nel film.

Un lungometraggio provocatorio e gotico, tra l’onirico e il surreale, scandito attraverso alcuni fisheye circolari che contribuiscono all’atmosfera distorta. Le scene da bianco e nero si traducono in colori saturi nell’esperienza di un mondo attraente e in festa, dove comunque traspare il disordine di una società allo sbando tra eccessi, soprusi e sregolatezza.

Vittima e carnefice si incarnano nello stesso soggetto, le due facce della stessa medaglia, come a dire che “la bellezza è negli occhi di chi guarda” e solo se lo vogliamo possiamo diventare esseri umani migliori.

La narrazione di genere fantascientifico, con acuta comicità di battute, instilla una domanda allo spettatore: la libertà per il genere femminile resterà fantascienza?

Non è cambiato molto, nei secoli, in materia di relazioni uomo-donna, resta l’incapacità di comunicare e intendersi, limite che John Gray nel libro Gli uomini vengono da Marte e le Donne da Venere nel 1992 rintracciava nella differenza biologica, psicologica e di linguaggio tra i due sessi.

Tra fotografia suggestiva di immagini pittoriche e organiche, che giocano tra impressionismo ed espressionismo, il regista esalta il racconto vittoriano dello scozzese Alisdair Grey alla base del film.

Il potente messaggio di attualità, di cui è portavoce questo film, mi rievoca la scrittrice Michela Murgia nella lotta al patriarcato, con la sua famiglia Queer. Bella Baxter vuole cambiare il mondo, così intraprende le orme professionali del padre suo creatore (che non a caso chiama God, da Godwiin ed anche questo è un riferimento a Mary Shelley, infatti il padre della scrittrice si chiamava William Godwin), che innestava cervelli, punta a distruggere il patriarcato, la possessività maschile, tra “furiosi sobbalzi” di sano appetito e puro piacere, esercita il diritto alla libertà sessuale, uccidendo il mito della donna-oggetto, del corpo da usare, dominare e possedere. Priva dei condizionamenti sociali, essendo cresciuta per lo più in cattività, Bella non ha tabù, sensi di colpa, censure lessicali. Vive senza complicazioni sentimentali e condizionamenti morali, combatte per la sopravvivenza di chi soffre la povertà.

Vi suggerisco di andare a vedere “Povere Creature” e non solo per l’interpretazione magnifica dell’attrice Emma Stone, che aveva già recitato per Lanthimos nel 2018, in The Favourite, ma anche perché dopo il Leone d’oro, meriterà pure l’Oscar.

Ma chi sono le povere creature? Siamo noi tutti. Imbrigliati nella rete dei condizionamenti sociali, negli stereotipi del falso perbenismo, nell’infelicità di una vita che non rispecchia l’autenticità dell’individuo.