Articolo di Anna Agata Mazzeo
CATANIA- Si è tenuto ieri presso il Circolo Didattico Statale “Mario Rapisardi”, il corso di formazione- informazione “Per un’educazione paritaria”. Il corso rivolto ai genitori ha visto come relatrice la professoressa Graziella Priulla, già docente di Sociologia presso la facoltà di Scienze Politiche dell’Università di Catania.
La Dirigente scolastica professoressa Katia Perna, in ottemperanza alla Direttiva del Ministero dell’Istruzione e del Merito del 24/11/2023 n. 83, comunica con una circolare che sta realizzando un percorso educativo volto alla cultura del rispetto, all’educazione alle relazioni, al contrasto della violenza maschile sulle donne ed in particolare a rendere alunni e alunne consapevoli, attenti/e e informati/e sul tema della violenza di genere e dei meccanismi culturali che la generano e la alimentano.
Lo scopo è quello di fornire a genitori ed insegnanti, strumenti critici per riconoscere stereotipi e pregiudizi e decostruirli offrendo loro spunti di riflessione, affinché siano maggiormente consapevoli dei messaggi e dei ruoli di genere che vengono trasmessi ai bambini e alle bambine.
Il primo stereotipo presentato dalla docente Priulla, è il termine “sesso debole”, una perifrasi usata per indicare il genere femminile, lo stereotipo che già era presente con Aristotele, che considerava le donne inferiori perché sprovviste di organo genitale prominente, una manchevolezza quella cavità tra le gambe che ha comportato millenni di dolore e sofferenza. Nel saggio Il secondo sesso, pubblicato in Italia nel 1961, Simone De Beauvoir scrittrice e filosofa francese scrive: La donna? È semplicissimo- dice chi ama le formule semplici: è una matrice, un’ovaia, una femmina, ciò basta a definirla. In bocca all’uomo, la parola “femmina” suona come un insulto; eppure l’uomo non si vergogna della propria animalità, anzi è orgoglioso se si dice di lui: È un maschio!
La professoressa Graziella Priulla, al pari della saggista francese di stampo femminista, ha presentato un excursus di luoghi comuni, stereotipi di genere, iniziando dall’aspetto biologico dei due sessi, per passare alla narrazione differente della società. Insito nelle parole matrimonio e patrimonio il destino per cui venivano ‘addestrati’: la donna a divenire madre, accudente della vita e dell’uomo; l’uomo a divenire amministratore dei beni ereditati, lavoratore che viene retribuito. Attraverso l’ausilio di slide, la professoressa ha fatto notare come sin dalla nascita, con il corredino distinto per colore in base al sesso, ogni altro prodotto per qualsiasi settore merceologico, per tutte le età evolutive dei generi, sia commercializzato in duplice packaging, sebbene la funzionalità sia identica. Non solo la religione, la politica, ma tutta la comunicazione e il marketing sono stati improntati su una differenza biologica che si è tradotta in discriminazione di diritti, gender gap, abusi e soprusi per secoli.
La scelta condizionata sui giochi che si offrono ai bambini (giochi di ingegno e costruzione) e alle bambine (bambolotti e barbie), inducono a proiettare l’infante verso un futuro professionale diametralmente opposto e ben distinto: indirizzo scientifico per i maschi, indirizzo umanistico o infermieristico, se non l’esclusivo accudimento della prole per le femmine.
Problemi di autostima, di identità e consapevolezza di sé le conseguenze di una narrazione oggettivante, che ha imposto canoni di bellezza e aspettative sociali come carico, al già complesso ruolo della donna. Giudicata “isterica” se non compiacente, “pazza” se ribelle, portate al rogo le “streghe” che desideravano il potere del controllo da sempre prerogativa maschile.
Le pubblicità sessiste, che non smettono di oggettivare il corpo delle donne, i titoli dei giornali, il fenomeno del femminicidio sono tutti elementi indicativi di una società che nella sottomissione della donna e la disparità dei diritti ha perpetrato discriminazione, sofferenza e atroci delitti.
“Si è sempre fatto così”, “Non ci avevo mai pensato” sono gli alibi per continuare a tramandare stereotipi e non adottare un pensiero critico di decostruzione di un imprinting che ha procurato danni al 52% della popolazione globale.
Una partecipazione attenta quella dimostrata dai genitori, che in linea alla strategia di alleanza tra scuola e famiglie sono intervenuti anche al dibattito conclusivo.
Madri, padri e docenti coinvolti nelle stesse azioni formative ed educative, con la consapevolezza che occuparsi di educazione e orientamento di genere significa riflettere e lavorare insieme per comprendere come siano presenti nella cultura diffusa, ma anche dentro ciascuna e ciascuno, pregiudizi e stereotipi legati alle differenze di genere e di ruolo tra femmine e maschi, e ancora come questi si tramandino da una generazione all’altra.
Occorre sviluppare una sensibilità, uno sguardo critico che consenta una cultura fatta di rispetto reciproco dei generi, per un dialogo più equilibrato e una relazione armonica tra i sessi, il corso formativo voluto dalla professoressa Katia Perna è stato un buon punto di partenza da ripetere ed emulare.