“Le mie figlie hanno rovinato la mia carriera”. A dirlo è stata la cantante Lily Allen, durante un’intervista Podcast di Radio Times. Lo ha detto tra il serio e il faceto, ridendo, non con il tono di una dichiarazione solenne.
Probabilmente non si sarebbe mai aspettata che quella frase diventasse virale.
“Le adoro, mi completano, ma in termini di celebrità mi hanno rovinata. Del resto non si può avere tutto” – continua la cantante 38enne – aggiungendo che le donne devono scegliere se mettere al primo posto i propri figli o la carriera, tuttavia per lei questa “rovina” è stata una scelta conscia e felice, voluta per dare priorità alla famiglia anziché alla propria vita professionale.
La riflessione amara sulla realtà lavorativa femminile è diventata virale: “Una madre non può avere tutto” risuona con forza in un contesto sociale, che pretende dalle donne che siano in grado di bilanciare senza fatica carriera e maternità.
Lily Allen è stata per anni una pop star di livello internazionale. Nel 2011 la decisione di trasferirsi in campagna per dedicarsi alla famiglia, giacché lei stessa aveva sofferto dell’assenza dei genitori da bambina, impegnati com’erano nelle loro carriere e pure separati. A distanza di tempo, in occasione dell’intervista, ha tracciato un bilancio di questi ultimi anni dopo aver scelto di ritirarsi dal mondo della musica per fare la mamma a tempo pieno.
Ma è davvero così? I figli rovinano la carriera di una donna?
È possibile doversi trovare, ancora nel 2024 di fronte alla scelta costrittiva di una rinuncia?
Strette tra l’incudine del Governo che chiede di incrementare la percentuale di natalità del Paese, l’esigenza economica di costruirsi una carriera per vivere e l’orologio biologico che ticchetta minaccioso, le donne lottano quotidianamente contro sensi di colpa e compiacimento.
Alzi la mano chi non si è trovata a dover subire il processo: “Se volevi fare la donna in carriera, non facevi figli e famiglia” o ancora “Cos’è più importante la tua ambizione o il benessere di tuo figlio?”, non di rado sono le stesse donne che accusano altre di non essere all’altezza, facendole sentire inadeguate se non riescono a conciliare tutto, seguendo il comandamento motivazionale: Se vuoi puoi. È una violenza invisibile, subdola e difficile da riconoscere, ma è importante affrontarla e cercare di superarla.
Forse lo scurrile titolo di uno dei successi musicali (“Fuck You” n.d.r.) di Lily Allen era indirizzato alla società pretenziosa, chissà.
Le donne che sono riuscite a conciliare il ruolo di madre e quello di lavoratrice come hanno fatto?
Vediamo insieme di capire perché ci si ritrova incastrate in etichette giudicanti e ristrette dalla società.
La maternità e la carriera: Spesso si crede che le donne debbano scegliere tra la maternità e la carriera, ma la realtà è più complessa. Quando una donna diventa madre, la maternità diventa parte di lei, definendola e occupando uno spazio significativo, totalizzante. Tuttavia, l’amore per i figli non dovrebbe limitare la sua identità al solo al ruolo materno. È la società che spesso costringe le donne a fare questa scelta, escludendole dal potere. Inoltre, non sono solo i figli a influenzare la carriera di una donna; a volte, basta un marito. Un marito che non coopera, che non supporta le necessità di tutta la famiglia, o che egoisticamente si tiene alla larga dalle responsabilità.
Paradossalmente alcuni uomini diventano “padre modello” soltanto dopo una separazione.
Come scrive la collega giornalista Rita Querzè nel libro Donne e lavoro, serve una rivoluzione per azzerare le disparità, una rivoluzione da compiere donne e uomini insieme.
La maternità e la carriera possono coesistere, ma richiedono un cambiamento di mentalità e un supporto adeguato. Da parte di tutti.
Pensiamo agli asili nido: il nostro Paese può garantire solo 28 posti su 100 bambini, secondo l’indicatore utilizzato dall’Istat per quella che possiamo definire la «copertura» assicurata dai nidi alle famiglie – in primis, quelle con entrambi i genitori che lavorano.
È fondamentale rimuovere le barriere che hanno tenuto a lungo le donne lontane da una discussione cruciale sul denaro e la disparità di remunerazione. Parlarne apertamente è un passo importante verso l’uguaglianza e l’autonomia finanziaria.
Nonostante le speranze di un mondo più equo, la realtà è diversa. Molte donne italiane si trovano ancora nel tunnel della disuguaglianza, cercando di sfuggire a un destino pre-confezionato. Alcune lottano, altre si rassegnano e appendono dei quadri per abbellire il tunnel dei disagi.
La lotta per la parità di genere: Nel corso della storia, le donne sono state spesso confinate alla sfera domestica, mentre gli uomini si occupavano di azione e affermazione esterna. Questo pensiero, alimentato sin dai tempi di Aristotele, ha contribuito a perpetuare l’idea che le donne fossero inferiori e incapaci di occuparsi di politica, filosofia e cultura. Queste limitazioni hanno rallentato il processo verso la parità di genere. Tuttavia, oggi continuiamo a lottare per superare queste barriere e garantire un trattamento equo per tutti.
In Italia, ancora una donna su quattro non possiede un conto corrente personale. Questi dati riflettono una situazione di disuguaglianza di genere. Inoltre, il tasso di occupazione femminile in Italia è del 55%, ben 14 punti indietro rispetto alla media europea. Questi numeri hanno un impatto significativo sul Pil e sull’intera collettività.
È sempre più urgente, soprattutto per arginare il fenomeno della violenza contro le donne, affermare una nuova idea di carriera e un’organizzazione del lavoro che contempli la vita privata, e nell’applicazione di idee all’avanguardia, occorre che donne e uomini sappiano unirsi per un lavoro di squadra.