Catania – È andato in scena il 20 e il 21 aprile scorso lo spettacolo “La felicità” al Teatro del Canovaccio. Una produzione dell’associazione culturale Madè assistita dalla magistrale regia di Nicola Alberto Orofino, che insieme alle autrici – attrici Roberta Amato e Giorgia Boscarino ha messo in scena, per la prima volta nella nostra città, uno spettacolo realizzato nell’ambito del “Roma Fringe Festival 2019”.
È il 1968, nella cornice di una stanza spoglia si recita il dipinto di una città dalla memoria brancatiana, con la via Etnea che pullula di bella gente a passeggio, che degusta granite, entra nelle fiorenti attività commerciali, una città che con il boom economico “cresce, si allarga, s’allonga, si stira, come un pane in pasta …”, tre donne siedono a farsi compagnia, ciascuna intenta in un’attività connotativa.
“Mio marito non mi fa mancare niente…” – l’intercalare, recitato come fosse uno slogan delle tante reclame che durante l’opera vengono riportate alla memoria. Tre donne in scena, tre donne a cui non manca nulla, a parte la felicità.
Il regista Nicola Alberto Orofino intreccia con maestria queste tre storie, così i soliloqui delle tre donne escono dalla dimensione spazio-temporale e dal carosello di una tv sempre accesa, per catapultare lo spettatore nell’immaginario periodo storico, con il refrain di una filastrocca che scandisce i giorni fotocopia, che di fatto è di straziante attualità.
La quarta parete non c’è, il palcoscenico dove le attrici Roberta Amato, Giorgia Boscarino e Luana Toscano incarnano le vite quotidiane delle donne siciliane, ciascuna alle prese con “i suvvizza” e le camicie del marito da stirare, configura un “gruppo di ascolto” allargato, coinvolgendo il pubblico tra una risata e l’altra a trovare una definizione alla subliminale domanda: Cos’è la felicità?
Qui si analizza, con molta schiettezza, la figura della donna nella società italiana.
E lo si fa, facendo parlare proprio le donne.
Inoltre, nel testo c’è una palese rivelazione di un passato che non è affatto passato, sebbene ambientato nell’Italia degli anni sessanta-settanta. La condizione della donna, la violenza verbale o psicologica che incombe, le aspettative della società che reclama la responsabilità della “regina della casa” nel sapersi tenere un marito, allevare i figli, tenere il focolare in ordine e attendere solerti nella gabbia dorata, attendere che la felicità faccia capolino.
E un’implicita domanda sembra farsi strada, nel corso dello spettacolo: la società italiana è davvero cambiata e migliorata nei confronti delle donne, rispetto a ieri?
Roberta Amato, moglie di Tano un marito che si spacca la schiena e non c’è mai, ‘fimmina di casa’ recita in dialetto in modo superlativo, disarmante, incarna la casalinga tradizionale, intenta a mondare i fagiolini per la cena, sciorina tra soddisfazione e amarezza la lista degli agi riservati alla sua condizione di moglie. Sono le cose a restituirle la misura della felicità: il corredo della Paoletti, l’iris la mattina, le calze di nylon, la carne Montana, la dispensa sempre piena, il capezzale della Madonna sopra il letto… Una vita consumata dentro una gabbia dorata… bisogna crearsi delle belle JAGGIE, comu l’acidduzzi, accoglienti, con i trespoli e la scagghiola, piccole jaggie dove ritornare, sempre. Sembra felice nella sua prigione, lei che ha avuto tanta premura nel soddisfare ‘certe curiosità’, per restarne delusa, giacché non è ancora gravida.
La bionda Giorgia Boscarino, moglie dell’imprenditore edile Giacomo (anche lui sempre assente), legge con riserbo una rivista, assimilando con mente critica i principi dei collettivi femministi. La sua interpretazione è vocata alla ricerca di una consapevolezza e un’autenticità da troppo tempo soffocata dai dettami della società, quella società che vede la donna lavoratrice come una ‘poco di buono’ e che ostacola ancora il ricorso all’aborto.
Luana Toscano sgrana un rosario e commuove il pubblico. Interpreta la zia di Giacomo, accolta nella casa della coppia giacché è stata per l’imprenditore una madre adottiva. Incarna il sacrificio della maternità, con la devozione verso un bimbo di cui le è stato dato carico da quando lei stessa aveva appena 10 anni, molti sacrifici e poca gratitudine di ritorno la dipingono zitella e bigotta.
Attraverso le storie personali delle tre protagoniste, lo spettacolo mette in luce il contrasto tra la felicità data dal soddisfacimento dei bisogni materiali e quella emotiva, evidenziando la necessità di confronto urgente, anche perché i mariti sono sempre assenti, e come, nonostante i cambiamenti sociali ed economici, la ricerca della felicità rimanga una costante nella vita umana.
“La felicità” è un ospite atteso di cui non si conosce l’aspetto; è una mancanza subdola nella nutrita lista del corredo di nozze, tra elettrodomestici, gioielli e suppellettili; è l’attesa infinita di capire cosa sia. Eppure, il messaggio delle autrici- attrici è chiaro e forte, quasi straziante, nonostante la vicenda sia spassosa: la felicità è qualcosa che abbiamo perso nel corso del tempo? O è qualcosa che ancora ci sfugge, nonostante il progresso?
Drammaturgia di Roberta Amato e Giorgia Boscarino
con Roberta Amato, Giorgia Boscarino, Luana Toscano
regia Nicola Alberto Orofino
costumi e Vincenzo la Mendola
assistente alla regia Gabriella Caltabiano
comunicazione e Media Stefania Bonanno
progetto Grafico Maria Grazia Marano
coordinamento Filippo Trepepi
produzione associazione culturale Madè