Si è tenuto ieri mattina, presso il Palazzo delle Scienze – Dipartimento di Economia e Impresa – Università degli Studi di Catania, l’incontro formativo sul futuro della professione giornalistica.
Una situazione di precarizzazione estrema emerge in questo momento storico. Se da un lato occorre tutelare il diritto di informare, conservare la libertà di espressione, dall’altro le condizioni di precarietà contrattuale della categoria sono in antitesi a questa libertà.
A moderare il seminario il Professore Rosario Faraci Docente di Economia e Gestione delle Imprese e consigliere regionale Assostampa Sicilia, che ha invitato anche gli studenti universitari a partecipare al dibattito.
Un appuntamento importante, volto a chiarire – come ha annunciato il vice segretario regionale Assostampa Sicilia Concetto Mannisi – quali sono i meccanismi che regolano il sindacato e l’approccio al sindacato della professione giornalistica.
“La situazione delle vertenze de La Sicilia legate ai contrasti tra giornalisti ed editori, ed altre micro-vertenze sindacali emerse in tutta l’Isola, mortifica la professionalità, mortifica i giornalisti, mortifica l’informazione” – denuncia Alessandra Costante Segretaria Nazionale Stampa Italiana (FNSI)
L’intervento di Filippo Romeo (Segretario provinciale Assostampa Catania) ha sottolineato come il 65% dei giornalisti non abbia alcun contratto lavorativo, come dopo 40- 60 ore di lavoro settimanale non contrattualizzate e dunque senza ferie, malattie pagate e alcun tipo di tutela, si configuri nell’attività giornalistica una nuova forma di schiavitù. Etica professionale e dedizione al servizio dell’informazione, è un lavoro importante quello svolto dai giornalisti, ma al prezzo di quanti sacrifici?
La stessa Federazione Nazionale Stampa Italiana definisce i giornalisti come “braccianti dell’informazione”.
Il reddito medio annuo di un giornalista si aggira tra i 10 e i 18 mila euro, gli editori cacciano via i professionisti contrattualizzati per sfruttare ‘i rider dell’informazione’ non contrattualizzati e pagarli 7-8 volte meno di un giornalista a contratto con equo compenso.
Il Direttore FNSI Tommaso Daquanno riconosce ai giornalisti la funzione di “mediatori sociali”: con la scelta delle parole da adottare per redigere un articolo o realizzare un servizio, incidono sulla notizia. Dalle categorie sociali fragili, alle aziende in difficoltà, alle crisi che investono qualsiasi settore, il giornalista raccoglie le testimonianze e dichiarazioni di chiunque. Ma chi dà voce ai problemi dei giornalisti?
Tiziana Tavella (Presidente Consiglio regionale Assostampa Sicilia) ha fatto un excursus delle patologie riscontrate da chi esercita la professione giornalistica: il 68% dei giornalisti si sente inadeguato, giacché le condizioni contrattuali non consentono una vita dignitosa, ma la lista delle patologie è lunga e varia (dall’ansia, all’insonnia, alle diverse manie compulsive ecc..), basti sapere che soltanto il 2% dei giornalisti riferisce di non avere alcun problema di salute riconducibile alle condizioni lavorative.
“Una professione che mette alla prova ogni giorno il lavoratore” aggiunge Roberto Ginex (Consigliere FNSI) che non è casta, bensì una professione povera messa sotto attacco dalla politica. L’esperienza di sindacalista è un’esperienza che segna: si ricevono telefonate di colleghi disperati, che si trovano in una situazione economica drammatica, ascoltare in totale gratuità ed empatia chi affoga tra le cartelle esattoriali e disperatamente cerca una soluzione che non c’è, fa scattare sì la solidarietà tra colleghi, ma anche un senso di impotenza che si traduce a volte in malattie psicosomatiche.
È intervenuto al seminario anche Sergio Magazzù (Segretario Provinciale Assostampa Messina) per mettere i riflettori anche sulla Legge Bavaglio, l’abolizione dei Co.co.co. e l’auspucio di un futuro democratico con maggior tutela per i lavoratori. I giornalisti sono lavoratori, mettono a disposizioni tempo, know how, fonti, strumenti, e un dispendio di energie non indifferente per il diritto di informazione.
I contratti di lavoro permettono di accedere ai diritti previdenziali, all’assistenza sanitaria, consentono l’accesso al credito, a delle condizioni di vita dignitose, su 100 mila giornalisti iscritti all’albo soltanto il 23% versa agli istituti di previdenza di settore. La situazione è preoccupante. Il sistema pensionistico condannerà milioni di persone alla povertà in vecchiaia, perché premia chi ha avuto una lunga carriera e penalizza chi ha vissuto una vita lavorativa da precario.
La professione giornalistica racchiude in sé una funzione sociale importante, considerata in passato una casta, oggi è l’emblema di un precariato cronico.
Una cosa è certa: non ci può essere previdenza senza lavoro, o meglio senza un contratto. Il welfare è possibile a patto che i diritti del lavoratore vengano riconosciuti.
“In Italia la Stampa è libera, i giornalisti molto meno” ha concluso Alessandra Costante.